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xvi - canti carnascialeschi 241

iii

Canzona de’ cialdoni.


     Giovani siam, maestri molto buoni,
donne, come udirete, a far cialdoni.
     In questo carnascial siamo sviati
dalla bottega, anzi fummo cacciati:
non eron prima fatti che mangiati
da noi, che ghiotti siam, tutt’i cialdoni.
     Cerchiamo avviamento, donne, tale,
che ci passiamo in questo carnasciale;
ma sanza donne inver si può far male:
e insegnerenvi come si fan buoni.
     Metti nel vaso acqua, e farina drento
quanto ve n’entra, e mena a compimento:
quand’hai menato, e’ vien come un unguento,
un’acqua quasi par di maccheroni.
     Chi non vuole al menar presto esser stanco,
meni col dritto e non col braccio manco;
poi vi si getta quel ch’è dolce e bianco
zucchero; e fa’ ’l menar non abbandoni.
     Conviene, in quel menar, cura ben aggia,
per menar forte, che di fuor non caggia;
fatto l’intriso, poi col dito assaggia:
se ti par buon, le forme a fuoco poni.
     Scaldale bene, e, se sia forma nuova,
il fare adagio e ugner molto giova;
e mettivene poco prima, e pruova
come riesce, e se li getta buoni.
     Ma, se la forma fia usata e vecchia,
quanto tu vuoi, per metterne, apparecchia,
perché ne può ricevere una secchia;
e da Bologna i romaiuol son buoni.


Lorenzo il Magnifico, Opere - ii. 16