Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/179

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canto decimo

Modula il fischio a ravvíar l’amico.
55Ma voci eran d’augelli, a cui concessa
È una strana virtù: fischiano al vento
Siccome uomini veri, e illudon l’alma
Di qualche afflitto pellegrin, che pèrso
Ogni spirto di lena e abbandonato
60Di speranza ogni lume e di salute,
Su l’inospite landa il corpo gitta.
Ben al grido fallace a mala pena
Sul digiun ventre ei talor sorge; all’aura
Tutta la fuggitiva anima intende;
65E forse in quel momento al cor gli torna
Il dolce aere natio, la derelitta
Casa paterna e della madre il pianto.
Sorge, aspetta, ricade, si strascina
Delirando fra’ sassi; a un grido estremo
70Schiude invan l’arse labbra; Adugna e morde
L’avara terra; e il ciel rigido intanto
Sovra il capo di lui splende e sorride.
Così le disperate anime insulta
La beffarda natura!
                            Al suon fallace
75Sorse l’eroe, nè stette in forse. — Or tutto
Convien, diss’ei, che il mio vigor s’adopri;
Arida e morta è questa valle, e segno
Di salute non ha; vadasi. — E preso
L’aspro sentier, non pria l’orme sostenne,
80Che un ampio fiume e la foresta attinse.
    Chiare e sonanti dirompeano l’acque
Fra due tra loro opposti e coronati
Di fosca selva smisurati monti,
Al cui piè si stendea facile e molle
85D’erbe infinite ed odorose il piano.
Piomba il fiume dall’alto, e se tu il miri
Biancheggiar da la lunge entro la pace



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