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mattina seguente; poi, con più truppe, il giorno 3, dopo un serrato cannoneggiamento; poi il giorno 5. Abbandonarono 250 morti sul terreno. Respinti sempre, volsero l’attacco al vicino Pizzo Avostanis. Furono lasciati avvicinare a brevissima distanza dalle trincee, contrattaccati, rovesciati nella valle. Il giorno appresso, assalivano ancora il Pal Grande.

Vi è qualche cosa di cieco e di feroce in questa tattica da ariete, una forsennata negazione dell’evidenza. E l’evidenza è che la fanteria austriaca, dai celebri Kaiserjägern ai bosniaci, non può reggere in combattimento aperto contro la nostra truppa, quando l’uomo è contro l’uomo. La forza degli austriaci è nell’ausilio ampio, bene organizzato, sapiente, di tutta la meccanica offensiva, di tutti gli atroci sostituti scientifici del valore umano: è nell’uso studiato e largo di tutti quei moderni mezzi di lotta che permettono di colpire senza esporsi, che affidano la maggior parte del combattimento al cieco automatismo degli esplosivi; è nell’abilità del nascondiglio, nel soccorso delle difese inanimate. Sono artiglierie numerose, varie, ben celate, pronte a scomparire; sono bombe asfissianti; sono granate che delle macchine lanciano, perchè ci si espone troppo a lanciarle a mano; sono mine, reticolati, scudi di acciaio; sono trinceramenti blindati con feritoie a sportello nei quali la fanteria è invulnerabile. Ma il momento arriva in cui bisogna che avan-