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272 dove il combattimento non ha soste


preso in quel momento per il rumore di un proiettile se non fosse stato persistente ed eguale, ci ha fatto guardare nei lembi di cielo che s’incorniciavano luminosi e profondi entro un frastagliamento nero di rami. Un aeroplano austriaco passava.

Era chiaro, diafano come una cosa veduta attraverso l’acqua, pareva lento, pareva incerto, volava verso il sud, librato sulle sue ali immobili, poi ha virato verso l’est. La montagna, che sembrava deserta, ha risuonato tutta di colpi di fucile. Si tirava da ogni parte sul sinistro uccello pallido e grande che spiava. Le rocce prolungavano stranamente il rumore dei colpi; l’eco faceva di ogni fucilata uno scroscio. Scendeva su di noi come una portentosa cateratta di strepiti violenti. L’aeroplano è scomparso, la fucileria ha taciuto. Qualche grosso proiettile, passando più basso, faceva udire il rauco soffio vorticoso della spoletta.

Il sentiero aveva i segni caratteristici delle zone battute lasciati dal cannoneggiamento di mesi, schegge di roccia staccate dai colpi e precipitate sul passaggio, frammenti di granate, pallottole di shrapnells buche scavate dagli scoppi. Qualche barella scendeva lentamente e le cedevamo il passo, salutando il ferito che ci guardava con lo sguardo lontano e assorto di chi ha appena lasciato il combattimento e lo rivive.

Il frastuono delle esplosioni, di tanto in tan-