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tro per porgerla al prigioniero nei momenti di sosta, quando la crisi di dolore lo fermava, trasognato e lagrimante. Con quel nobile rispetto verso i vinti che hanno i nostri soldati, intorno all’ufficiale nemico sconvolto dalla sconfitta si faceva un cerchio di silenzio generoso.


Nei giorni successivi noi proseguimmo le operazioni per dominare le strade provenienti da Plezzo. Furono giorni di nebbie, di temporali, di alluvioni. Si battagliava fra le nubi. Il 20 giugno, l’occupazione si consolidava oltre la punta Vrata. Dopo ogni nostro passo avanti, un contrattacco austriaco. Il 21, per ricacciarci dalle vette comparvero sul campo per la prima volta forze rilevanti di cacciatori tirolesi, gli alpini del nemico, con i petti pieni di medaglie guadagnate sui Carpazi. I nostri non aspettarono l’urto, si gettarono avanti, attaccarono, respinsero i tirolesi infliggendo loro gravi perdite, ne catturarono alcuni.

Le avanzate più rapide nostre sono state quasi sempre favorite dagli attacchi nemici. È l’inseguimento che ci porta più in là. Finchè gli austriaci si difendono nelle loro trincee invulnerabili, protetti da numerose artiglierie nascoste, rannicchiati nei buchi dietro ai reticolati, la lotta è faticosa, dura, lenta. Ma se escono fuori, se si mostrano, se manovrano, l’azione scatta, si sposta, insinua più avanti dei tentacoli che si appigliano su posizioni