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la conquista della conca di plezzo 313


2200 metri in un pallore di altitudine. È scosceso, ampio, triste. Qualche piccola nube molle e rosata si formava intorno alla sua cima, poi lentamente si sfrangiava, si spostava, mutevole, leggera, trascinata via dal vento a fondersi nella profondità azzurra del sereno. Quando quel velo si dissipava, noi potevamo scorgere proprio sotto alla sommità le nostre trincee, una linea vaga, lontana, minuscola, sbiadita.

L’attacco del Rombon cominciò il 28 agosto. Quel giorno, sulle ripide balze meridionali del monte, furono conquistate le prime trincee nemiche, e una piccola carovana di prigionieri scendeva alla sera per i dirupi verso Saga. Altri reparti da montagna, che venivano da ponente, tentavano l’assalto della vetta nell’alba del 27. Disposte in più ordini, fortissime trincee austriache coprivano il cucuzzolo roccioso del monte. La lotta fu accanita, qualche trincea fu presa, ma il nemico rimase padrone dell’estrema punta. Intorno ad essa si stabili un fantastico assedio, che ancora dura.

I combattimenti sulla gelida cima del Rombon non somigliano a nessun altro, hanno aspetti favolosi. Gli ufficiali che nel mattino del 27 osservavano da Saga l’attacco, hanno scorto più volte come uno scendere di frane, un piombare vertiginoso di massi lungo le pendici scoscese. Non erano mine che scoppiavano, non erano granate che spezzavano la roccia. Erano blocchi lanciati sull’assalto. Gli