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184 sulle vette dell'alto agordino


si prendono dei prigionieri che, poco pratici della lingua italiana, hanno previdentemente preparato un biglietto sul quale è scritto: «Mi rendo prigione, prego non uccidermi». Nell’istante critico lasciano il fucile e porgono il documento. È una trovata che ha un fondamento psicologico; la carta impone rispetto alla massa; anche in un momento di furore, chi si vede presentare uno scritto, si calma e lo legge.

L’azione delle pattuglie esploratrici è tutta fatta di trovate personali. Anche ieri, quattro soldati si sono presentati al loro capitano: «Abbiamo visto una vedetta austriaca — gli hanno detto — e vorremmo andare a prenderla». — «Bene, accordato». E sono partiti iersera, verso mète ignote, per passaggi che loro soli conoscono. Non sono ancora tornati, ma non si è udita fucileria sulla montagna, e forse in questo momento essi stanno alla posta rannicchiati in un crepaccio o strisciano carponi lungo una cornice di roccia, sospesi su mille metri di abisso.

Scrivendo, si prova un non so quale ritegno a insistere sull’ardore, sull’entusiasmo, e sopra tutto sul buon umore dei nostri soldati, su questa contentezza gagliarda che si espande in canti e in risa nei più sinistri e mortali centri della lotta, sulla volontà di fare e di dare con generosità smisurata di sè stessi, su questa freschezza d’animo che non ha sospiri se