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Gaspara Stampa. | 75 |
cino al paradiso. Ma nel mezzo del cammino egli vede un serpe divorare i fiori! «Non so s’era sua colpa o di destino».
Quella visione gli fa temere che possa avverarsi,
sì ch’una donna instabile ed avara, |
La povera Gaspara non può più a lungo ignorare l’infedeltà dell’amante, e se ne strugge. Ma ciò che è mirabile in un temperamento così ardente e appassionato, è la moderazione con cui continua a parlare del traditore; la mestizia rassegnata, che pervade ora tutti i suoi versi. Ella non impreca, non maledice, non accusa nessuno. Fu suo destino l’amare; non è colpa d’alcuno se l’amore le arrecò qualche gioia e e infinito dolore.
Così trascorrono i primi mesi di quell’anno (1551), il terzo e ultimo del suo sventurato amore, ed ella, abbattuta e vinta, giura a se stessa di non amar più, e si rivolge a Dio, sperando con fede sincera di trovare qualche conforto nella religione, ora che ogni consolazione terrena le manca.
Il Pèrcopo, nella «Storia della letteratura italiana dalle origini ai giorni nostri (Wiese e Pèrcopo)» dice a questo proposito che Gaspara Stampa «finisce poi come tutti i petrarchisti, col darsi all’ascetismo».