Pagina:Maffei, Scipione – Opere drammatiche e poesie varie, 1928 – BEIC 1866557.djvu/185

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atto secondo 179


Ha incominciato: — Vado a dire; — e quelli:

— No no, signor, non se ne vada, anzi la
vogliam qui. — Dicea poi: — Vengo d’intendere; —
ed essi: — In grazia, per fuggir errore,
è egli forse un paese questo intendere
dal qual viene? — Non posso ricordarmi
di tutto; ma sovvienmi che rispose
a un di loro: — Ha dovuto il generale
prender delle misure, — e che si è dolso
perché quei dimandò, se con la pertica.
Disse altresi: — Tutto va con successo
finora, — e gli altri: — Ma vorremmo appunto
saper qual sia stato il successo. — In somma
ogni suo dire era pien di detagli,
di portaggi, regretti, pulizie
e plafoni e bocchetti e trattamenti,
e di grossi signori e marche e che
so io: può andare Ermondo ora a nascondersi.
Anselmo.   Faranno dunque amicizia fra loro;
la somiglianza la produce sempre.
Di’ con chi vai e ti dirò chi sei.
Despina.   Ma che sará, signor, di questa moda
che ha preso tanto piede? Dovrem dunque
imparar a parlare un’altra volta?
Anselmo.   Credo di si, perché il mal cresce ognora.
Troppo grande è il piacere che hanno i nostri
nell’avvilirsi in ogni conto: facciano,
io son giá vecchio, ci pensi chi resta.
Il bello è che, parlando in questo modo,
fanno vedere che non sanno punto
né pure di francese, e nol capiscono.
Despina.   Ecco appunto costí quel di cui parlo,
s’incammina vêr qua.
Anselmo.   Vanne, Despina,
io lo voglio incontrare e voglio prendermi
spasso di lui.