Pagina:Maffei, Scipione – Opere drammatiche e poesie varie, 1928 – BEIC 1866557.djvu/228

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A LISO. Cosi chiamasi

il morbo gallico.
Ersilia.   O infame, e ch’io’l prenda
per consorte? Io piú tosto gli darei
d’una mazzata sul grugno; no’l voglio
no certamente, e so ben, signor padre,
che in fine il vostro amor non mi vorrá
sagrificar cosi.
Anselmo.   Per veritá
vien grandemente in fastidio anche a me.
O dice, o par che ad ogni tratto dica
de le sciocchezze o de le impertinenze.
Alfonso.   Signor Anseimo, io vengo di sapere
coni’ella avrá una carica ben tosto,
per la quale potrá far conseguire
un uffizio anche a me che mi conviene,
e ch’è faccenda molto interessante.
Despina.   Interessato sará egli.
Alfonso.   Ho sopra
questo una gran memoria nel burrò.
Anselmo.   Non ho intesa quest’ultima parola.
Alfonso.   Burrò, burrò.
Anselmo.   Galant’uom, che vuol dire
burrò?
Auso.   Boia, carnefice.
Anselmo . E mio genero
cosi mi tratta?
A LISO. L’avrá detto in senso
di scrittorio, di banco; quei che vogliono,
senza saperne punto, francesare,
urtano in queste ben spesso: in francese
diversamente si pronunzia.
Alfonso.   Allora
ho speranza che mia consorte ancora
si adoprerá, e non mi fará torto.
Anselmo.   Una mia figlia avrebbe da far torto