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a volta a volta, i bastoni o le grucce del sostantivo. La loro lunghezza e il loro peso regolano il passo dello stile che è sempre necessariamente sotto tutela, e gli impediscono di riprodurre il volo dell’immaginazione.

Scrivendo per esempio: «Una donna giovane e bella cammina rapidamente sul lastricato di marmo», lo spirito tradizionale si affretta a spiegare che quella donna è giovane e bella, quantunque l’intuizione dia semplicemente un movimento bello. Più tardi, lo spirito tradizionale annuncia che quella donna cammina rapidamente, e aggiunge infine che essa cammina su un lastricato di marmo.

Questo procedimento puramente esplicativo, privo d’imprevisto, imposto anticipatamente a tutti gli arabeschi, zig-zag e sobbalzi del pensiero, non ha più ragione di essere. È quindi press’a poco sicuro che non s’ingannerà chi farà il contrario.

Inoltre è innegabile che abolendo l’aggettivo e l’avverbio si ridarà al sostantivo il suo valore essenziale, totale e tipico.

Io ho, d’altronde, un’assoluta fiducia nel sentimento di orrore che provo pel sostantivo che si avanza seguito dal suo aggettivo come da uno strascico o da un cagnolino. Talvolta, quest’ultimo è tenuto a guinzaglio da un avverbio elegante. Talvolta il sostantivo porta un aggettivo davanti e un avverbio di dietro, come i due cartelloni d’un uomo-sandwich. Sono altrettanti spettacoli insopportabili.

6. — Perciò appunto io ricorro alla aridità astratta dei segni matematici, che servono a dare le quantità riassumendo tutte le spiegazioni, senza riempitivi, ed evitando la mania pericolosa di perder tempo in tutti i cantucci della frase, in minuziosi lavori da cesellatore, da gioielliere o da lustrascarpe.

7. — Le parole liberate dalla punteggiatura irradieranno le une sulle altre, incroceranno i loro diversi magnetismi, secondo il dinamismo ininterrotto del pensiero. Uno spazio bianco, più o meno lungo, indicherà al lettore i riposi o i sonni più o meno lunghi