Pagina:Marinetti - Scatole d'amore in conserva, 1927.djvu/65

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med mi fece un cenno, strizzando gli occhi e lo seguimmo attraverso il villaggio. Egli si era cacciate delle violette nelle narici, in segno di letizia.

Ci fermammo davanti a un gruppo di quattro case sconnesse e oblique, le cui terrazze digradavano in un disordine bizzarro e piacevole. Sembravano quattro vecchie streghe ingessate e zoppe, immobilizzate in un conciliabolo vespertino.

In mezzo a quelle case, c’era un cortiletto. Mohamed entrò per una specie di porta nera e ne usci poco dopo, seguito da una donna piccola e grassa, con la testa e la bocca velate. Ella aveva una veste sventolante sotto la quale s’indovinavano con ripugnanza mammelle lunghe e pendenti. Era la madre di Fatma. Mi avvicinai a lei. Alle sue caviglie e ai suoi polsi tintinnavano anelli di rame.

Poco dopo, giunse a noi, dall’interno un mormorio. Alcune donne, seguite da ima marmaglia cenciosa, circondarono Mohamed. Tutte gridarono, gesticolarono, alzando al cielo braccia color caffè e latte, coperte di tatuaggi rossicci e ticchettanti di braccialetti. Si discuteva il prezzo di Fatma.

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Trascinai Mohamed all’interno, per tagliar corto a quelle trattative. La luna già alta illuminava violentemente il muro che chiudeva in fondo il cortile. Ma la famiglia ci seguì e la disputa ricominciò. Era lugubre e strano, nello scenario lussuoso del chiaro di luna orlato d’ombre, il tumultuare di quella famiglia scarmigliata che letigava pel prezzo della ragazza della casa.


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