Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/117

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canto secondo 115


51.Letta l’inscrizzïon di quella scorza,
le troppo avide Dee cessaro alquanto,
e cangiàr volto, e ’n su la mensa a forza
il deposito d’or lasciaro intanto.
Cede il merto al desio, ma non s’ammorza
l’ambizïon, ch’aspira al primo vanto.
San, ch’averlo non può se non sol una:
il voglion tutte, e nol possiede alcuna.

52.Degli assistenti l’immortal corona
nova confusïon turba e scompiglia.
Con vario disparer ciascun ragiona,
chi di qua, chi di là freme e bisbiglia.
Sovra ciò si contende e si tenzona,
omai tutta sossovra è la famiglia.
Tutta ripiena è già d’alto contrasto
la gran sollennità del nobil pasto.

53.Giunon superba è sì di sua grandezza
che più de l’altre due degna s’appella.
Né sé cotanto Pallade disprezza
che non pretenda la vittoria anch’ella.
Vener, ch’è madre e Dea de la bellezza,
e sa ch’è destinato a la più bella,
ridendosi fra sé di tutte loro,
spera senz’altro al mirto unir l’alloro.

54.Tutti gli Dei nel caso hanno interesse,
e son divisi a favorir le Dee.
Marte vuol sostener con l’armi istesse
che ’l ricco pomo a Citherea si dee.
Apollo di Minerva in campo ha messe
le lodi, e chiama l’altre invide e ree.
Giove, poi ch’ascoltato ha ben ciascuno,
parzïal de la moglie, applaude a Giuno.