Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/135

Da Wikisource.

canto secondo 133


123.«Orsù» Palla soggiunse «ecco mi svesto,
ma pria che scinte abbiam le gonne e i manti,
fa’ tu, Pastor, ch’ella deponga il cesto,
se non vuoi pur che per magia t’incanti.»
Replicò l’altra: «Io non ripugno a questo,
ma tu, che di beltà vincer ti vanti,
perché non lasci il tuo guerriero elmetto?
e lo spaventi con feroce aspetto?

124.Forse che ’n te si noti e si riprenda
degli occhi glauchi il torvo lume hai scorno?»
Impon Paride allor, che si contenda
senza celata, e senza cinto intorno.
Restò l’aspetto lor, tolta ogni benda,
senz’alcuna ornatura assai più adorno.
Sì di se stesse, e non d’altr’armi altere
nel grand’arringo entrar le tre Guerrere.

125.Quando le vesti alfin que’ tre modelli
de la perfezzïone ebber deposte,
e de’ lor corpi immortalmente belli
fur le parti più chiuse al guardo esposte,
vider tra l’ombre lor lumi novelli
le caverne più chiuse, e più riposte;
né presente vi fu creata cosa
che non sentisse in sé forza amorosa.

126.Il Sol ritenne il corso al gran vïaggio,
inutil fatto ad illustrare il mondo,
perché vide offuscato ogni suo raggio
da splendor più sereno, e più giocondo.
Volea scendere in terra a fargli omaggio,
ambizïoso pur d’esser secondo:
poi tra sé si pentì de l’ardimento,
e d’ammirarlo sol restò contento.