Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/356

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135.Ma piú d’ogni altro ambizioso il Giglio,
qual Re sublime, in maestá sorgea,
e con scorno del bianco e del vermiglio
in alto il gambo insuperbito ergea.
Dolce gli arrise, indi di Mirra al figlio
segnollo a dito, e ’l salutò la Dea.
— Salve — gli disse — o sacra, o regia, o degna
del maggior Gallo, e fortunata insegna.

136.Ti vedrá con stupor l’etá novella
chiara quanto temuta e gloriosa.
Ma quante volte di dorata e bella
diverrai poi purpurea e sanguinosa?
Non sol negli orti miei convien ch’anch’ella
ti ceda omai la mia superba Rosa,
ma fregiato di stelle anco il tuo stelo
merita ben che si traspianti in Cielo. —

137.Non so se v’era ancor la Granadiglia,
ch’a noi poscia mandò l’Indica piaggia,
di Natura portento e meraviglia,
e ceda ogni altra pur stirpe selvaggia.
Al no piú tosto il mio pensier s’appiglia,
né deve altro stimarne anima saggia,
ché star non può, né dee puro e sincero
tra l’ombre il Sol, con le menzogne il vero.

138.Disse alcun, ch’a narrar le glorie e l’opre
del sempiterno lor sommo Fattore
le stelle, onde la Notte il manto copre,
son caratteri d’oro e di splendore.
Or miraeoi maggior la terra scopre,
quasi bei fogli apre le foglie un Fiore,
Fiore, anzi libro, ove Gesú trafitto
con strane note il suo martirio ha scritto.