Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/370

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19 r. E de la guancia impallidito l’ostro,
di timor, di dolor palpita e langue.

«Madre madre» mi dice «un picciol mostro»
e mi scopre la man tinta di sangue
«un, che quasi non ha dente né rostro,
e sembra d’oro, e punge a guisa d’angue,
minuto animaletto, alata Serpe
hammi il dito trafitto in quella sterpe».

192.lo, che ’l conosco, e so di che fier’aghi
s’armi sovente, ancor che vada ignudo,
mentre che i lumi rugiadosi e vaghi
gli asciugo, e la ferita aspra gli chiudo,
«Che d’anima] sí picciolo t’impiaghi»
rispondo «il pungiglion rigido e crudo,
da pianger, figlio, o da stupir non hai.
E tu fanciullo ancor che piaghe fai?»

193.L’Occasion, ch’è nel fuggir sí presta,
vide un giorno per l’aria ir frettolosa.
Suora minor de la Fortuna è questa,
e tien le chiavi d’ogni ricca cosa.
L’ali ha su ’l tergo, e di vagar non resta
sempre andando e tornando, e mai non posa.
Lungo, diffuso e folto il crine ha, salvo
verso la coppa, ov’è schiomato e calvo.

104.Per poterla fermar, l’occhio e ’l pensiero
molto attento ed accorto aver conviene,
ch’animai non fu mai tanto leggiero,
e vuol gran senno a custodirla bene.
Frutto di suo sudor non gode intero
chi la prende talor né la ritiene.
Egli appostolla, e tante insidie tese,
che mentr’ella volava, alfin la prese.