Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/490

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15.— La machina, Signor, dov’entro or sei,
fu del Fabro di Lenno alto sudore.
Con questa in grazia venne, e di costei,
ch’è la madre d’Amor, comprò l’amore.
Per trarla ai poco amabili imenei
questa in dono l’offerse in un col core.
Nettuno aggiunse ai preziosi doni
vago poi di piacerle, i duo Tritoni.

16.Né sol (come tu vedi) in acqua è nave,
ma carro, ov’ella il voglia, in aria e ’n terra.
Spinta talor da dolce aura soave
per le piagge del mar trascorre ed erra.
Talor lasciando l’elemento grave,
quand’ella il volo al terzo Ciel disserra,
v’accoppia e scioglie ai Zefiri benigni
le dipinte Colombe, o i bianchi Cigni. —

17.Cosí ragiona, e ’ntanto attorce e stende
contesti di fin or serici stami,
ond’ai tígli de Tacque ordisce e tende
minuti e sottilissimi legami.
Ma mentre appresta il calamo, ed intende,
Pescatrice leggiadra, a trattar gli ami.
Amor con altro laccio e con altr’ésca
di Ciprigna e d’Adon l’anime pesca.

18.In un scoglio approdò la navicella,
che quasi isola siede al lago in grembo.
Questo non osò mai ferir procella,
teme ogni Austro appressarlo, ed ogni nembo.
Né sentí mai latrar fervida stella,
né d’algente pruina asperse il lembo;
ma sprezza, avampi Sirio, o tremi Cauro,
l’inclemenza del Cancro e del Centauro.