Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/497

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43.Ma poi ch’ogni arte lor vinse e deluse
di lá passando il Peregrin sagace,
quando con cera impenetrabil chiuse
le caute orecchie a l’armonia tenace,
d’ira arrabbiate, e di dolor confuse
le disperse del mar l’onda rapace:
e (salvo questa, che campò per sorte)
per desperazion si dier la morte.

44.De le tre mezo Pesci e mezo Dive
quella che ’n questo mar gittata venne,
qui (come vedi) immortalmente vive,
ciò per pietá dal mio gran Nume ottenne.
L’altre per vari lidi e varie rive
corser, né so ben dir ciò che n’avenne.
So ben, ch’una di lor da Tonde spinta
presso Cuma e Pozzuol rimase estinta.

45.E trasportata a quella nobil sede,
miglior che ’n vita, in morte ebbe ventura,
perché de’ Calci il popolo le diede
il Paradiso mio per sepoltura:
dico il lieto paese, ove si vede
sí di se stessa innamorar Natura;
a cui cinto di colli il mar fa piazza:
ch’a Nettuno è teatro, a Bacco è tazza.

46.Da Tossa de la Vergine canora
che ’n quel terren celeste ebbe l’avello
spirto di melodia pullula ancora,
quasi d’antico onor germe novello.
Piú d’una lira vi si sente ognora,
e piú d’un bianco mio musico augello.
E che sia vero, un de’ suoi figli ascolta,
a che dolce canzon la lingua ha sciolta. —