Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/567

Da Wikisource.


107.Deh perdonimi il ver, s’altrui par forse
ch’io qui del Ciel la dignitate offenda,
poi che lá dove Tempo unqua non corse,
l’Ore non spiegan mai notturna benda.
Facciol, perché cosí quel che non scorse
il senso mai, l’intendimento intenda:
non sapendo trovar fuor di Natura
agli spazii celesti altra misura.

108.In questo mezo il Condottier superno
le sei vaghe corsiere al carro aggiunse.
Fece entrarvi gli amanti, ed al governo
assiso poi, vèr l’altro Ciel le punse,
ed al bel tetto del suo albergo eterno
in poche ore rotando, appresso giunse.
Intanto parlator facondo e saggio
la noia alleggeria del gran viaggio.

109.— Eccoci — gli diceva — eccoci a vista
de la mia stella, che piú sú si gira,
candida no, ma variata e mista
d’un tal livor, ch’ai piombo alquanto tira,
picciola sí, che quasi a pena è vista,
e talor sembra estinta a chi la mira,
e ne le notti piú serene e chiare
de l’anno sol per pochi mesi appare.

1 io. Questo l’avien non sol perché minore
de l’altre erranti e de le fisse è molto,
ma però che da luce assai maggiore
l’è spesso il lume innecclissato e tolto.
Sotto i raggi del Sole il suo splendore
nasconde sí, che vi riman sepolto,
e tra que’ lampi onde si copre e vela,
quasi in lucida nebbia, altrui si cela.