Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/610

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279.Movesi a l’armi, e ne va seco armato
Enrico, il primo fior del regio seme,
quei che pur dianzi andò, quasi sdegnato,
co’ men fedeli a collegarsi insieme.
Sdegno fu, ma fu lieve; or ch’a lo stato
del gran cugino alto periglio ei teme,
gli sovien quand’è d’uopo in tanta impresa
di consiglio, d’aiuto, e di difesa.

280.Va con poche armi ad assalir la fronte
de’ nemici dispersi, e gli sorprende.
Non vedi Can, che volontarie e pronte
gli disserra le porte, e gli si rende?
Vedi di Sei nel sanguinoso ponte
quante squadre rubelle a terra stende.
Poi per domar la scelerata setta
vèr l’estrema B’iarne il campo affretta.

281.Cede lo sforzo e l’impeto nemico,
ingombra’ Navarrin terrore e gelo.
Giá v’entra, e ne l’entrarvi il Re ch’io dico,
non men che di valor, s’arma di zelo.
Rende ai distrutti altari il culto antico,
a se stesso l’onor, la gloria al Cielo.
Ogni passo è vittoria, ovunque ei vada,
e vince senza sangue e senza spada.

282.Qual uom, che pigro e sonnacchioso dorme,
giace col corpo in su le piume molli:
con l’alma, del pensier seguendo Torme,
varca fiumi, e foreste, e piani, e colli;
tal rivolgendo Adon gli occhi a le forme
de la cui vista ancor non son satolli,
non sa se vede, o pargli di vedere,
tra lumi ed ombre imagini e chimere.