Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/11

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canto duodecimo 5


3.Ombra ai dolci pensier sempre molesta,
cura ai lieti riposi aspra nemica,
del sereno del cor turbo e tempesta,
del giardino d’Amor loglio ed ortica.
Gel, per cui secco in fiore il frutto resta,
falce che ’n su ’l granir tronchi la spica,
rigido giogo, ed importuno morso,
che ne sforzi a cadere a mezo il corso.

4.Acuto spron, che stimulando affligi,
putrido verme, che rodendo ammorbi,
sferza mortai, che l’anime trafigi,
vorace mar, che le speranze assorbi,
nebbia, che carca di vapori Stigi
rendi i piú chiari ingegni oscuri ed orbi,
velo, che de la mente offuschi i raggi,
sogno de’ desti, e frenesia de’ saggi;

5.qual ria Megera, o scelerato Mostro,
ti manda a noi da’ regni oscuri e tristi?
Vattene vanne a quell’orribil chiostro,
onde rigore a’ tuoi veleni acquisti.
Non piú contaminar lo stato nostro,
torna torna a Cocito, onde partisti:
ch’aver dove ben s’ama in nobil petto
non può basso timor lungo ricetto.

6.Ma nel misero ancor mondo perduto
non so se sì gran peste entrar ardisca,
e negli alberghi suoi l’istesso Pluto
non ti voglia, cred’io, ma t’aborrisca:
perché teme al tuo ghiaccio il Re temuto
non forse il regno eterno incenerisca,
o la fiamma, ch’ognor dolce il tormenta
per Proserpina sua, non resti spenta.