Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/12

Da Wikisource.
6 la fuga


7.Giace del freddo Tanai in su le sponde
là ne la Scithia una foresta negra.
Non di fior, non di pomi, e non di fronde
spoglia mai veste in alcun tempo allegra,
ma fulminate piante, Alpi infeconde
peggior la fan ch’Acrocerauno o Fiegra.
D’aure in vece e d’augelli han le sue sterpi
pianti di Gufi, e sibili di Serpi.

8.L’infausto noce e di nocente tosco
consperso il tasso e ’l funeral cipresso
rendon quel sempre al Sol nemico bosco
con le pallide chiome ispido e spesso.
Per entro il sen caliginoso e fosco
d’ogni intricato suo calle e recesso
marciscon l’ombre, e l’aria è densa e nera
quasi meno che notte, e più che sera.

9.Van per burroni cavernosi e cupi,
per balzi inaccessibili ed inculti,
per erme sempre e solitarie rupi,
o popolate sol d’aspri virgulti,
Draghi a tutt’ore immansueti e Lupi
sotto tenebre eterne errando occulti.
Piangono i fonti, e ’n flebile concento
sospira e spira ancor spavento il vento.

10.Quivi col piede antico una grand’elce
al monte il manco lato apre e scoscende,
nel cui spiraglio di pungente selce
s’incurva un arco che ruina e pende,
là ’ve turato d’edera e di felce
precipitoso baratro si fende,
del cui lavor, róso dagli anni e scabro,
il caso sol fu l’architetto e ’l fabro.