Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/252

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375.Son vinto, e prigionier, non mi difendo:
la spada in man, la testa in grembo avete.
Fate ciò che v’è bello; e pur volendo
pascer del sangue mio la vostra sete,
per lasciarla troncar, l’armi vi rendo,
sfogar l’odio omai tutto in me potete:
se merita però tanta vendetta
error, che per errore altri commetta. —

376.Nel sen di lei con umil gesto e pio
inchinò la cervice intanto, e tacque.
A quel parlar nel cor di chi l’udio
con gran pietá gran meraviglia nacque.
Occhio non fu si barbaro, ch’un rio
non versasse d’amare e tepid’acque.
Ma di Sidonio Argene udito il nome,
da le piante tremò fino a le chiome.

377.Turbossi tutta, e variando il volto,
pallido pria, poi piú che fiamma rosso,
data in preda al furor rapido e stolto,
forte se l’ebbe ad ambe man percosso.
Pur raccogliendo a l’ira il fren disciolto
da qualche tenerezza il cor commosso,
sedò quel moto, e dilagati in fiumi
al Cielo alzò con queste voci i lumi:

378.— O stelle, o Dei, deh qual vi move a queste
cose qui consentir furore o sdegno?
Di marito e di Re lasciar voleste
vedova la consorte, orfano il regno.
Morir di ferro a torto anco il faceste,
né di lui mi rimase altro ch’un pegno,
pupilla miserabile, costei,
che pupilla era pur degli occhi miei.