Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/26

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LA FUGA

Ma quel rabbioso e rigoroso gelo
giá giá fiamma diviene a poco a poco,
onde l’abitator del quinto Cielo
sembra da vènti essercitato foco.

Passato il cor di velenoso telo,
vendicarsi desia, né trova loco.

Quell’astio omai superbo ed iracondo
non cape il petto, e lui non cape il mondo.

D’un tenace sudore è tutto molle,
fosca nebbia infernal gli occhi gli abbaglia,
e soffia, e smania, e di dolor vien folle,
tal passion l’afiíige, e lo travaglia.

Fatto è il suo sen, che gela insieme e bolle,
campo mortai di piú crudel battaglia,
e per le nari a un punto e per le labbia
gitta fumi d’orror, schiume di rabbia.

La noderosa e formidabil asta
c’ha ne la destra, allor contorce e scote,
rovere immensa, e si pesante e vasta
che nessun altro Dio mover la potè.

Poi dal seggio elevato a cui sovrasta
lunge la scaglia, e i nuvoli percote.

Guizza per l’aure il grave tronco e fugge,
ne rimbomba la terra, e ’l Ciel ne mugge.

L’Hemo al bombo risponde, e l’Atho insieme
con orribil romor tutto risona.

Il Rhodope vicin n’ulula e geme,
e ’l nevoso Pangeo ne trema e tuona.

Si scote l’Hebro da le corna estreme
la canicie del gel che l’incorona,
e con le brume, onde sovente agghiaccia,
lega a l’Istro il timor Tumide braccia.