Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/38

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111.— Tu non fai cortesia, qualunque sei —
fortemente gridando ella veniva. —
Impedir caccia publica non dèi,
né negar la sua preda a chi l’arriva.
Giusto non è, che de’ travagli miei
altri il frutto si goda, io ne sia priva.
Di vedermi usurpar non ben sopporto
quel che tanto ho sudato, a sí gran torto.

112.Confuso a quelle voci Adon rimane,
che sa ben che la Cerva è a lei devuta;
ma s’egli pur del pargoletto Cane
non la sottragge al dente, e non l’aiuta,
di commetter s’avisa opre inumane,
poi ch’a salvarsi è nel suo sen venuta;
onde la Ninfa altera e peregrina
con questi preghi a supplicar s’inchina;

113.— Ninfa (se Ninfa pur sei de la selva,
ché piú tosto del Ciel Diva ti credo)
di qualunqu’altra qui Fera s’inselva
senz’altra lite ogni ragion ti cedo.
Di questa sol si mansueta belva
la vita in dono, e in un perdon ti chiedo,
s’a la rabbia canina oso di tórre
un vezzoso animai, ch’a me ricorre.

114.Incrudelir ne’ semplici innocenti
non conviensi a beltá celeste e santa.
Vive pietá ne le divine menti,
né di gloria maggior Giove si vanta.
Ben, s’in me fien giá mai forze possenti
a compensarti di mercé cotanta,
potrai del mio voler, come ti piace,
sempre dispor. — Cosi le parla, e tace.