Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/40

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119.Se le Fere innamori a tuo talento,
qual fia cosa giá mai ch’altri ti neghi?
In grazia tua sua libertá consento,
cedo d’un tanto intercessore ai preghi.
Con un tuo sguardo sol, con un accento
ogni core imprigioni, ogni alma leghi;
onde vinta da te, qual io mi sono,
tutta me stessa e quanto è in me ti dono.

120.Né da le stelle (il ver convien ch’io dica)
l’origin piglio, né dal Ciel discendo.
Driade son io, che cittadina antica
di questo bosco, a seguir Fere intendo,
áia ben che sia de l’aspre cacce amica,
con gli uomini talor piacer mi prendo.
Silvania ho nome, e ’n ruvida corteccia
traggo inospita vita e boschereccia.

121.Non pensar tu, che ne’ silvestri spirti
cortesia pur non regni, e gentilezza.
Non siam noi senza core, anzi vo* dirti
eh’anco fra i rozi tronchi amor s’apprezza.
Aman le palme, aman gli allori e i mirti,
e conoscono ancor ciò ch’è bellezza;
né vive in pianta, né germoglia in piaggia,
priva di questo senso, alma selvaggia.

122.Il contracambio poi, che mi prometti,
vo’ che senza indugiar mi sia concesso,
áia (come in prova mostreran gli effetti)
fia l’util tuo, fia ’l tuo guadagno istesso.
Vo’ che la mia Reina entro i suoi tetti
ti piaccia visitar, ch’è qui da presso;
né pur la Cerva ch’è si bella in vista,
ma ’l Cane ancor avrai, che la conquista.