Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/552

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135.E baciandol dicea: «Chi fia che sciolga
giá mai questo (o mio ben) caro legame?
Pria che si rompa, o ch’altri a me ti tolga,
vo’ che si rompa il mio perpetuo stame.
Frema, scoppi (se sa) s’adiri e dolga
il terror di Sicilia, il mostro inlame,
di cui piú fiera e spaventosa belva
non vive in tana, e non alberga in selva».

136.Fatto qui pausa ai vezzi, e se non tronche,
lentate le dolcissime catene,
segnavan con le pietre e con le conche
de le gioie la somma, e de le pene.
Su lo scoglio scolpian per le spelonche,
per la riva scrivean sovra l’arene,
suggellando i caratteri co’ baci,
Aci di Galathea, Galathea d’Aci.

137.Or mentre incauti e senz’alcun pensiero
stanno in tal guisa a trastullarsi i due,
ecco viene il Ciclopo orrido e fiero
a pascolar le pecorelle sue.
Sotto la manca ascella un cuoio intero
per zanio tien di ricucito bue.
Ben si scorge il crudel, quand’egli giunge,
isoleggiar su l’isola da lunge.

138.Non di lieve siringa o di sambuca,
ma di massicci abeti ha cento canne,
cento buche ogni canna, ed ogni buca,
misurato il suo giro, è cento spanne.
Questa suol, quand’avien ch’ei riconduca
la greggia a l’erba fuor, porsi a le zanne
ed accordar con cento fiati e cento
de’ diseguali calami il concento.