Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/652

Da Wikisource.


91.Guidato alquanto insieme il ballo tondo,
ballar vòlser divise ad una ad una,
e con error festevole e giocondo,
ma col decoro debito a ciascuna,
di quante danze ha piú leggiadre il mondo
non tralasciare in tai vicende alcuna,
qual piú per arte o per vaghezza aggrada:
del ventaglio, del torchio, e de la spada.

92.Disse la Dea d’Amor: — L’onesto e ’l bene
del meritato onor non si defraude.
Non dee vera virtú, né si conviene
senza premio restarsi, e senza laude.
Vuoisi qui dimostrar ch’a l’opre oscene
Vener non piú ch’a le contrarie applaude. —
E fattasi recar la statua d’oro
de l’istessa Virtú, la donò loro.

93.Non vuol Febo soffrir che la sorella
l’onor del ben ballar sen porti sola:
onde de le sue Muse il coro appella
e l’aureo plettro accorda a la viola.
Vien tosto, inteso il suon, la schiera bella
a l’armonia de la divina scola,
e co’ legami de le braccia istesse
stranio balletto in vaghi nodi intesse.

94.Sotto la treccia de le braccia alzate
per filo or quella, or questa il capo abbassa,
e torcendo le mani innanellate
altra se n’esce, altra sottentra e passa.
Poi ch’alfin le catene ha rallentate
la bellissima filza, il campo lassa:
e soletta a ballar resta in disparte
Tersicore, che Diva è di quell’arte.