Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/664

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139.Pien di superbo e temerario orgoglio
questi, nel chiuso cerchio entrato a pena,
depon le vesti, e in un confuso invoglio
furiando le gitta in su l’arena.
Poi quasi eccelso ed elevato scoglio,
de l’ampie spalle e de l’immensa schiena
scopre gli eccessi, e di terribil ombra,
ben piantato nel mezo, il piano ingombra.

140.Qual Tizio fuor de la prigion tenace
libero e ’n piè levato a veder fora,
se l’augel che famelico e mordace
le sue feconde viscere divora,
da’ nove campi, ove disteso ei giace,
sorger gli desse, e respirar talora:
cotal parea quel mostro orrendo e rio,
ch’i piú temuti a spaventar uscio.

141.Con bieco sguardo in prima egli si vide
torcer le luci e sollevar la faccia,
aspra se scherza, ed orrida se ride:
or che fia se s’adira, o se minaccia?
Indi con formidabili disfide
ambe sbarrando incontr’al ciel le braccia,
di tai parole audaci ed arroganti
l’orecchie fulminò degli ascoltanti:

142.— Or venga a noi, di quanta gente accoglie
questa di lottatori ampia adunanza,
qual piú di palme cupido e di spoglie
in se stesso si fida, e ’n sua possanza.
Vedrem chi tanto insane avrá le voglie
che di meco pugnar prenda baldanza.
Parlo a chiunque intorno ode il mio grido,
e quanti qui ne son, tanti ne sfido. —