Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/675

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183.Sovra l’osso del petto alto levato
calcollo sí, che ’l respirar gli tolse.
Quanto d’impeto avea, quanto di fiato
ne le membra, e nel cor, tutto raccolse,
e piegandolo a forza al manco lato,
lui da sé spinse, e sé da lui disciolse:
onde cadendo alfin, con l’ampia schiena
il membruto campion stampò l’arena.

184.Xon altrimenti il generoso Alcide
quando il Libico Anteo pugnando assalse,
poi che de la cagion chiaro s’avide
ond’ei piú volte al suo valor prevalse,
tra le braccia possenti ed omicide
stringendolo, scherní l’arti sue false,
e tanto spazio lo sostenne e resse
che violenta fuor l’alma n’espresse.

185.Cadde con quel fragor che suole al basso
cader smosso da Tonde argine o ponte,
e parve a punto che, scosceso il sasso,
venisse quasi a dirupare un monte.
Tutti a quella ruina, a quel fracasso
segno mostrár d’alta letizia in fronte,
e con grido e stupore al riso misto
favorire applaudendo ognun fu visto.

186.Mentre intorno ridea la turba pazza,
confondendo a Tappiauso alto bisbiglio,
fattosi Citherea venire in piazza
stranio vasel, volse a Corimbo il ciglio.
— Tua sia questa — gli disse —: in questa tazza,
che ’n India conquistò lo Dio vermiglio,
Giove bevea nel tempo giá che pria
di Ganimede a mensa Hebe il servía.