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Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/745

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463.Stolta mia destra, che d’un tanto eccesso
di feritá ti festi essecutrice,
ragion non è che del gran mal commesso
si faccia anco altra man vendicatrice.
S’errò giá contro lei, contro me stesso
questo mio traditor braccio infelice,
emendi Amor l’error, ch’egli commise,
con l’odio che si deve a chi l’uccise.

464.Spada villana, al tuo Signor ingrata,
che nel mio bene incrudelir potesti,
ed ancor de’ begli ostri insanguinata,
quasi accusando il feritor, ne resti,
se giá fosti crudel, fosti spietata
ne l’alta crudeltá che commettesti,
or a quel gran dolor, che mi saetta,
non negar la pietate, e la vendetta. —

465.Cosí piangendo e sospirando disse,
e tenendo nel pugno il ferro stretto,
senza trovarsi alcun che l’impedisse,
sospinse il braccio, ed applicollo al petto.
E trafitto appo lei, ch’egli trafisse,
pien d’amoroso e di rabbioso aspetto,
freddo cadendo, e pallido, ed essangue,
insieme mescolò sangue con sangue.

466.Chi crederá prodigiose e nove
altezze di miracoli divini?
Chi d’un corpo, ch’è morto, e non si move,
uscir vide giá mai vivi bambini?
Nel ventre, che spaccato era lá dove
hanno Tanche e le coste i lor confini,
dentro l’aperte viscere anelante
spirar si vide e palpitar l’infante.