Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/81

Da Wikisource.


283.Se la gloria, che ’l fato or mi destina,
non fusse da quel duol turbata in parte
d’aver la bella ed unica Reina
di questo cor lasciata in preda a Marte,
il che pur de la gemma adamantina
chiaro mi mostra l’infallibil arte,
quanto piú volentier gli aspri ritegni
sopporterei di questi ferri indegni?

284.O viva imago del mio Nume amato,
che ’n bel diamante effigiata spiri,
che fa teco il mio cor? quanto beato
vidi condotti a fin gli alti desiri,
in quella rete d’oro imprigionato,
dolcissima prigion de’ miei sospiri,
quando superbo di sí nobil palma
ne le tue braccia imprigionai quest’alma?

285.Ahi quando fuor de le tue belle braccia
(career felice) in libertá fu messa,
perché dal mortai groppo, onde s’allaccia,
non si discarcerò l’anima anch’essa?
Deh perch’io viva si che non mi spiaccia
la vita omai senza la vita istessa,
dammi conforto tu, dammi possanza
tu del bell’Idol mio vera sembianza. —

286.La custodia del carcere rimise
Tirata Donna ad un suo schiavo Armeno.
Degno supplicio al mal che poi commise
portò costui fin dal materno seno.
Giusto ferro gli svelse e gli recise
da la gemina sede il peso osceno,
e gli tolse a la luce a pena uscito
ufficio in un di padre, e di marito.