Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. I, 1911 – BEIC 1872860.djvu/10

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II

Al medesimo

Chiede in prestito altri trenta ducati, restituisce un sonetto e ne manda alcuni propri.

Son debitore a V. S. illustrissima di molti danari, ma molto piú d’infinite grazie che di continuo mi fa. A queste non posso sodisfare, a quegli credeva averlo fatto a quest’ora; ma quella stessa fortuna che m’ha impedito a complir a quanto doveva, mi sforza a supplicarla a favorirmi di trent’altri ducati, che spero restituire con gli altri ; col che però non intendo aver sodisfatto ai debito mio, ma di rimanerle perpetuamente tenuto. Perché l’obligo mio è tale che godo ogni di esserle piú obligato, e ovunque io mi sia, spero e prometto, fin ch’avrá fiato e spirito questa vita, d’esser publica tromba della sua virtú, che nel tempo delle maggiori mie calamitá m’abbia soccorso e che in essa, quando coloro che piú dovevano mi mancarono, abbia ritrovato rifugio e sollevamento; il che non a mio merito alcuno, ma tutto alla generositá del suo nobilissimo animo sará attribuito. E se per avventura non fosse suo commodo per ora favorirmi di questa grazia, basterá ch’ Ella nella sua grazia mi conservi ed invece facciami fra tanto degno di qualche suo novello componimento, mentre ch’io le invio il sonetto con la sua sposizione. E priegola non m’abbia per pigro se ho tardato tanto a mandarglielo, perché assai poco tempo parmi avere avuto a considerare e conoscere tante ricchezze ed ornamenti che vi sono si di stile come di concetti e di dottrina. Onde mi giova dire delle sue composizioni quello che giá della sua Beatrice disse Dante:

Io non la vidi alcuna volta ancora ch’io non trovassi in lei nova bellezza.

Le mando insieme alcuni miei ultimi sonettuzzi. Degnisi di vedergli e rivedergli, correggendogli ed emendandogli col suo discretissimo giudicio. E con questo fine, a V. S. illustrissima bacio umilissimamente le mani, pregandole dal cielo ogni felicitá.

Da Napoli [1593].