Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. I, 1911 – BEIC 1872860.djvu/102

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ch’Ella sia ormai cosí ben certificata della integritá dell’animo inio, che sarebbe cosa piú tosto soverchia che necessaria il volere ampliargliene la fede co’ vani e superstiziosi convenevoli delle lettere cortigiane. Me ne scuso adunque e me ne accuso con Vostra Reverenza; e poich’ Ella confondendo la mia negligenza ha voluto cosí caramente salutarmi, facendomi anche acquistare la notizia e l’affezione d’ un si nobile ingegno, la risaluto con tutto il cuore e la ringrazio con tutto l’animo; lontano però da tutte le cerimonie, stimando io che in mantenimento del nostro commercio basti per corrispondenza la mia osservanza divota, se ben dovuta, a far che la partita del cambio tra noi si pareggi. Percioché l’amore non richiede altro jragamento che altrettanta dovizia d’amore, nella spesa del quale io mi sento cosí pronto allo sborso, che nulla mi ritiene il rispetto d’ incorrere in prodigalitá, si che largamente io non diffonda in lei tutto il proprio affetto e non impieghi ogni mio potere in servirla ed onorarla. E se ben questo può a Vostra Reverenza per aventura parere un traffico senza guadagno, è nondimeno per raccórre dal suo capitale frutti di ringraziamenti ed usure d’obligazioni immortali. Di me che debbo dirle? Io me ne vivo tuttavia peregrino in qua ed in lá sospirando la perdita delle delizie del mondo (ché cosi può dire chiunque è lontano da Vinegia) e lasciando a guisa d’un cielo rotante rapire la debolezza del mio corso dalla violenza del primo mobile; dico del prencipe a cui mi conviene ubidire. Ecco: fra due o tre giorni mi bisogna partire per Turino, richiamato da quel serenissimo. Ma subito condotti che avrò a fine alcuni interessi ch’io ho in quella corte, spero di ritornare costá a publicare molte fatiche ed a rivedere gli amici e i padroni cari, fra’ quali Vostra Reverenza ha quel luogo sovrano che si deve al suo valore. Del resto non le offerirò di nuovo la mia servitú, per non rivocare in dubbio la certezza della sua auttoritá sopra di me. Ora non so dolermi ch’Ella non mi comandi, perché stimo ch’Ella mi giudichi inutile a servirla. Con tutto ciò la priego che non mi lasci in tutto ozioso. Se non mi conosce atto alle cose grandi, m’impieghi nelle piccole. Se non le si offre occasione per suo bisogno, la procuri per mia