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che sará sempre prontissima a spendere in suo servigio quella vita ch’io mi glorierò di ricevere dalla mano di V. A. A cui per fine profondamente mi inchino.
Di Torino, adí 27 d’aprile 1611.
LXV
Al. SIGNOR N. N.
Si lamenta della sua prigionia.
Ed eccomi in doppia prigione. A cratieole di ferro si aggiungono catene d’amore. Di quelle posso pure e debbo sperare
dopo qualche tempo di liberarmi; ma di queste, quando anche
potessi, non voglio esser libero giamai. Affetti di compassione,
uffici d’intercessione, offerte d’aiuto mi vengono dal mio caro
signor N. E quando o con quale ossequio di servitú ho potuto
io mai con V. S. meritar tanto? Compatire i miseri è umanitá,
adoperarsi per gl’impotenti è cortesia; ma sovvenire agl’indegni è gloria e generositá non sol reale ma divina. Quanto
mi pregio ilei suo favore tanto mi doglio che si sieno smarrite l’altre lettere ch’Ella accenna d’avermi scritte, percioché
una riga di sua risposta mi sarebbe stata di notabil conforto
in questa calamitá. E certo io non sapeva accommodarmi a
credere che insieme con lo sbaraglio dell ’altre mie fortune mi
fosse anche avvenuto il cadere dalla sua grazia, essendomi
sempre ingegnato di possedere un luogo di benevolenza nel suo
animo con ogni atto d’umiltá. E se pure mi si deve l’inferno, non
per altra cagione si può dir eh ’ io lo meriti se non per essere
stato di V. S. troppo ambizioso amante. Mi trovo nell’inferno;
titolo che ragionevolmente do alla caverna dove mi ritrovo condannato, e molto a ragione, percioché vi è la pena del danno e
la pena del senso. La perdita della grazia del padrone e di quanto
bene io mi aveva nel mondo da una parte, e dall’altra il cumulo di
tutti i mali. Lascio la compagnia diabolica de’ malfattori, gli orrori
palpabili d’una caligine perpetua, l’impressione nell’anima d’una
passione continova, fiamme e ghiacci di rabbie e di paure. Questi