Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. I, 1911 – BEIC 1872860.djvu/142

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valore, e l’onoro e Io predico e l’essalto e Io celebro, si come in breve faranno fede alcune opere mie segnate del suo nome. Lo pregai — forse di che? — d’un disegnotto solo in pergami na, d’una o due figurine favolose ma non oscure, fatte però con diligenza e che la carta fusse poco piú alta d’un palmo e larga meno. Lo desidero per cosa che mi preme, e voglio che vaglia invece d’un altro grande che egli giá mi donò e poi mi ritolse.

lo credeva a quest’ora esser costi di passaggio alla volta di Roma, ma questi strepiti di guerra tengono in guisa impedito l’animo di S. A. serenissima che non gli avanza tempo da pensare a spedirmi ; onde dubito che mi converrá dimorar qui per qualche altro giorno. Intanto supplico efficacemente V. S. a volere per amor mio essere attorno a cotesto innessorabile e veder di cavarne l’intento; e se potrá ottenerlo senza risparmiare fastidio o perdonare ad importunitá, si compiacerá d’inviarlomi subito ravvolto dentro un cannoncino di latta perché non si guasti. Se gli mancherá materia nella invenzione, potrá V. S. suggerirgli o Adone con Venere, o Medoro con Angelica , o Rinaldo con Annida , o Enea con Didone , o Cefalo con l’ Aurora, o Aci con Galatea , o Borea con Orintia , o Zefiro con Cloni, o Verta uno con Romana, o Nesso con Dianira , che so io, o altro capriccio ad elezione della sua fantasia. E se col mezzo di qualche amico potente se ne potesse avere un altro del Malosso fatto con qualche diligenza (il quale intendo essere un valente disegnatore), mi farebbe una grazia degna d’obligazione immortale.

Un certo Trombetta, che è costi, mi fece vedere, quand’io vi lui, un disegno d’acquarella, di mano (diceva egli) di Giulio Romano, dove era Giove che baciava Ganimede. Se bene io non Io stimai originale, comunque sia, perché è piccolo ed io nc fo una scelta di cosí fatti per riporre in un libro di cose diligenti ed isquisite, lo torrei volentieri quando il sudetto ne volesse far essito con cambio conveniente. V. S., di grazia, mi scusi s’ io le scrivo con soverchia dimestichezza dandole tanti impacci, perché cosí ardisco di fare con coloro ne’ quali particolarmente confido. E qui finisco baciandole riverente le mani.

Di Torino [1613 o 1614].