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CXXI1I

Al signor Arrigo Falconi© a Roma N arrazione burlesca del suo viaggio da Torino a Parigi.

Io vi farò qui quasi una breve odissea del mio lungo pellegrinaggio, pieno di piú strane avventure clic non fu il mantovano itinere di Fidenzio. Partii di Turino con una rozza sotto di non so che razza, guercia d’un occhio e dell’altro orba in tutto; e se non fusse stata alquanto restia e maltrattata da’ garretti, per altro aveva tutta la mia grazia, percioché mutava il passo con tanta galanteria e faceva un menar d’anche cosí piacevole, che un pittagorico averebbe giudicato ch’avesse in corpo l’anima di qualche ballarino. Qualunque si fusse, basta che la mi portò da paladino per la prima giornata. Fui la mattina a desinare a Santo Ambrogio, dove almorzai alla spagnuola a cavallo a cavallo. La sera giunsi alla Novalesa molto stracco, perché quelle «poche miglia» che vi si fanno da Susa son parenti di quelle che son da Marino a Roma e da Pianoro a Bologna, le quali non finiscono mai. 11 giorno seguente, avendo a passare il Monsanese, mi parve bene di barattar cavallo, ma cascai dalla padella nelle bragie e saltai meno in camicia che in giubbone. Rassettati gli arnesi e giunta l’ora del partire, il vetturino trufarello mi tenne a bada insino a mezodi. Quando Iddio volse, venne pur via. ed ecco che mi si presenta innanzi una mulissima, la qual per quanto mostrava il pelo fratesco si era votata all’ordine delle pinzocchere riformate; e certo era molto savia, sobria, astinente e di buona vita, perché, oltre la macerazione della carne, che si conosceva benissimo all’ossatura e al carcame delle coste trasparente come un corpo diafano, ad ogni passo inginocchioni baciava la terra. Fra di vista babbuina, andava attraverso come un can da osteria e, con una tosse secca intramezzata a volta a volta di qualche starnuto, mi dava ad intendere la poca conscienza del mastro di stalla, che Pavea lasciata dormire al sereno senza cuffiotto. Il capo peccava alquanto in grandezza,