Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. I, 1911 – BEIC 1872860.djvu/198

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feci provedere d’un barbassoro che mi riparasse il viso dalla bufera che soffiava. E fu anche di mestieri ch’io facessi mettere i calzari da ghiaccio alla mia cotale, da che, per grazia di Dio, aveva non meno ugne di vetro che bocca d’acciaio. Pervenni alle radici della montagna, lá dove il freddo si venne tuttavia avanzando, e mi sentiva scorrere un ghiaccio per le vene che n’ incaco a quello della gelosia; onde non aveva altro refugio che ficcarmi di quando in quando le mani rattrappate sotto i garofani per riscaldarle. Le balze del monte erano si canute che parevano cariche di latte rappreso, e il verno, divenuto anch’egli academico imbiancatore, le aveva tutte quante ingessate e sparse di biacca. Que’ pochi alberi che non erano del tutto sepolti sotto la neve si vedevano pur si bianchi, che ciascuno avrebbe detto essersi dispogliati in camicia e che perciò tremassero piú del freddo che del vento. Il sole se ne stava appiattato dentro il suo palazzo e non ardiva, non dico di sbucar fuori, ma né anche di farsi al balcone; e se pur talora cavava un po’ poco il mustaccio all’aperto, si poneva intorno al naso un pappafico di nuvoli per paura di non agghiacciare. I passaggieri parevano tanti monachetti di Monteoliveto che andassero cantando quel verso «Lnvabis ine et super >1 treni dealbabor». Ed io, nel vedermi cosí vestito di bianco, mi avisai d’essere da dovero trasformato in cigno overo diventato l’Infarinato «.Iella Crusca. Poiché fummo al salire: — Or qui ti voglio, madonna mulabus — diss’io fra ine stesso: — se tu la passi questa volta senza sca vezzarti, meriti nel tempio d’Esculapio un simulacro di cera. — Prese l’erta assai francamente, e se ben talvolta traballava coi piedi, e col contrabasso della testa, accordandosi alla battuta delle orecchie, andava facendo «tuba catuba», con tutto ciò la andò per un tratto bene. Vero è che in questo montare allo ’nsú mi era piú ch’altro noioso il vento, il quale, non ostante il capperone e ’J guardanaso, zuffolando gravemente mi scopava la faccia, mi scorticava le labbra e assai volte impediva il camino alla mia mulessa. La qual, come quella che se bene era figlia d’un asino voleva pur dimostrarsi sacciuta e degna di esser cavalcata da un letterato, caminando procedeva pedetentim ,