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CXLVIII

Al serenissimo signor prencipe Tomaso di Savoia

Abbozzo della dedica che segue.

Mi accorgo, serenissimo signore, essere a me avvenuto a punto quello istesso che secondo le greche favole alla testugine avvenne; la qual, chiamata da Giove nella rassegna universale degli animali, venne indietro indietro dopo tutti gli altri, ancorché fusse la prima a partire, allegando per iscusa della sua tardanza Tesser restata a guardar la casa. Poiché essendo stato io il ritrovatore e T introducitore del componimento degli idilli nella nostra lingua, mi son lasciato prevenire da molti peregrini ingegni, ed i miei, che fúrno i primi ad esser fatti, son gli ultimi a comparire; e l’indugio non è stata la custodia della casa, poiché gran tempo fa, balestrato ora in una, ora in altra parte dalla fortuna, fuor della casa e della patria mi ritrovo. Con tutto ciò ho osservato il precetto del maestro di quest’arte, il qual c’insegna a tener I’opere sotto la lima infino al nono e al decimo anno. Rassomiglio me stesso alla testugine, animai terrestre ed aquatile, tardo, stupido, neghittoso ed essangue, non solo per esprimere la pigrizia del mio ingegno poco veloce, povero di vivacitá ed inetto alle alte specolazioni, ma anche per dinotare il diffetto della mia natura ritrosa e restia, la qual mi suol fare trascurato eziandio in quelle cose che piú mi rilevano nella fortuna e nell’onore. Ond’io, che mi sono alla testugine paragonato, porto ferma speranza che gl ’ Idilli siano per piacere a Vostra Altezza. Anche Apollo, nel tempo che ne’ boschi menava vita pastorale, non si sdegnava d’ascoltare le semplici canzonette de’ rozzi contadini. E senza piú, prego Iddio conservi Vostra Altezza lungo tempo per gloria del nostro secolo.

Di Parigi [gennaio 1620].