Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. I, 1911 – BEIC 1872860.djvu/302

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farne una sola, prenda Anfíone quando col suono della lira edifica Tebe; ma qui bisognerebbe un poco di prospettiva d’una cittá parte fabricata e parte ancora sorgente, piena di sassi : avertendogli però che le figure hanno da essere intiere, proporzionate alla grandezza della tela. Quando io saprò quel ch’egli ne pretende, manderò parimente i quattrini.

L’Adone si stampa e giá n’è tirata una gran parte. La stampa riesce magnifica e veramente degna di poema regio, perché si fa in foglio grande con dieci ottave per facciata in due file; onde la spesa è grossa, per esser volume forse di trecento fogli, e si fa il conto che sia per sette volte maggiore della Gicrusalernmc del ’l’asso. In dodici non si potrebbe ristampare, se non si facesse in piú tomi. A mandarlo vi corrono molte difficoltá importanti, le quali non posso scrivere adesso per buon rispetto. Io mi sforzerò di superarle in ogni modo, e credami ingenuamente ch’io farò oltre l’impossibile per servirla, se bene oltre l’interesse del libraro vi son personaggi di grandissima autloritá che si attraversano per favorire altrui. Ma per l’amor di Dio non ne faccia motto né si lasci intendere a persona, perché mi farebbe danno. Bastile di sapere e d’esser certa che tutto quel che tocca a me farò per osservarle la mia parola.

Al mio signor Strozzi ho scritto per via de’ signori Giunti, ma non si degna di rispondere. Al padre Berti mille svisceratissimi saluti e baciamani. Iddio la contenti.

Di Parigi [1621].

CLKXIII

A don Lorenzo Scoro

Si scusa di non aver potuto mandare il danaro pel Brandin, e dá notizie dell’Adone.

Vi scrivo dal letto, dove mi ritrovo son giá dieci giorni con una flussione gravissima nell’orecchio destro, la qual piaccia a Dio che si risolva, perché mi dá un grandissimo tormento con fischio perpetuo, talché dubito di non avere a perderne l’udito,