Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. I, 1911 – BEIC 1872860.djvu/35

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dalla pianta del mio intelletto, ancorché sterile e dal patrio suo nativo terreno svelta, nascerá (qualche frutto maturo di poema piú grave, quale è quello a cui d’intorno lavorando io vo tuttavia, fondato sopra la vendetta della morte di Cristo, esseguita per divina volontá da Tito imperatore nella cittá di Gerusalemme.

Pur fra questo mezzo non dee V. S. illustrissima rifiutare si fatti fiori, almeno per non far torto alla finezza ed integritá del suo proprio giudicio, che n’è stato lo stimatore ed è stato solito piti volte con diletto mirarli e per sua bontá commendarli ; al qual giudicio quanto debba io ragionevolmente prestar fede e quanto sia egli, massime in cotal professione, da apprezzarsi, me ne riporto a’ suoi scritti ed in ispicialtá alle cose latine, dove nella politezza dello stile e nella sceltezza de’ concetti, per quanto altrui ne paia, pareggia gli antichi, quando talora, ritiratosi da affari piú gravi e da occupazioni piú importanti, suole per suo trastullo a questi piacevoli studi rivolgersi.

Quali essi si sieno, spero, se la mia speranza non è soverchio audace, che, ricoverati sotto l’ombra non nocevole della sua protezione e nodriti dall’onda, dal sole e dall’aura soave del suo favore, potranno perpetualmente serbarsi freschi e ridenti. E mi fo arditamente a credere che non sieno per essere giamai o recisi dalla falce del tempo, o dispersi dall’inondamento di Lete, o distrutti dal ghiaccio del livore, o secchi dall’arsura della malignitá, o consumati dall’uggia della invidia, o calpestati dal piede de’ calognatori. E se pur non sono atti ad addolcir l’aria con la soavitá degli odori, portando per la Italia il grido ilei mio nome, potranno per aventura allettare i riguardanti con la vaghezza de’ colori, pascendo gl’intelletti della loro varietá.

E chi sa se, presa dal titolo di V. S. illustrissima quella dolcezza che in se stessi non hanno, potessero anche invaghire alcun di coloro che della volgar lingua sono studiosi, in guisa che, quasi diligenti ed ingegnose pecchie, di essi le parti piú dilicate scegliendo, vengano poi a fabricar favi di componimenti assai piú dolci che questi non sono? E chi dubita che se sieno mai degni di essere intrecciati nella nobil corona di V. S. illustrissima,