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LETTERE E DEDICATORIE

XXIII

Al medesimo

Domanda un dipinto.


Il mio sonetto da V. S. tanto lodato è stigliatura, onde potrá in esso aver veduto come io piú tosto l’abbia ubidita che servita. Se però parte alcuna vi ha di lodevole, attribuiscasi tutto alle qualitá del suggetto, il quale non sarebbe mai possibile lodare abbastanza.

Starò aspettando aviso come abbia gradita l’offerta della mia servitú, col sonetto indrizzatogli, il signor Giovan Vincenzo Imperiali, nella cui grazia esser sostenuto dalla gentilezza di V. S. ho particolar disiderio ed ambizione.

In quanto all’opera di sua mano, sappia che non è cosa ch’ io piú ardentemente disideri in questa vita, ma il non aver tanto merito appo lei mi scema alquanto la speranza d’ottenere il favore. Pure, quando volesse degnarmi di tanto, rimetterei in tutto e per tutto le condizioni al suo arbitrio ed alla sua cortesia: o profana o sacra, pur che sia fantasia di suo capriccio, me ne riputerò fortunatissimo, assicurandola che sará non meno da me e dal mio stile, ancorché indegno, celebrata che ammirata da tutta Roma e specialmente dall’illustrissimo signor cardinale Aldobrandino mio signore, il quale so che avrá piacer di vederla. E con si fatta occasione sará mia la cura d’introdur V. S. nella sua famigliaritá ed amorevolezza, si come giá n’è nella notizia.

Per ora non ho tempo di diffundermi troppo, e perciò resto baciandole affettuosamente quella mano facitrice di maraviglie.

Di Roma [1604].