Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. I, 1911 – BEIC 1872860.djvu/63

Da Wikisource.

a V. S. d’aspettare questo poco d’intervallo infino al sudetto mio passaggio e di guardarla intanto cautamente, accioché ella non faccia qualche altra nuova trasformazione, perché so che le sue pitture hanno forza di cangiare gli uomini in istatue per la maraviglia che danno altrui.

Se in questo mezo avrá V. S. necessitá del danaro, si contenterá di far motto o al signor Rinaldi o al signor Rabbia dell’ultima somma, ch’io la rimetterò o all’uno o all’altro, non giá per prezzo di pagamento ma per riconoscimento del mio debito; percioché se bene Ella è un nuovo Aristide e Rularco, io non sono né il re Attalo né il re Candaule che pagarono le opere loro tanti talenti. È ben vero che la divozione del mio animo verso il suo valore è piú traboccante di qualsivoglia gran peso d’oro. Onde le dico che, se bene la fatica sua è appoggiata in una tela fragile, l’obligazion mia però è impressa in una memoria eterna; e se i suoi colori saranno consumati dal tempo, la mia gratitudine non sará mai cancellata dall’oblivione. E senza piú, bacio a V. S. quella miracolosa mano.

[Di Ravenna, 1607?].

XLY

Al. SERENISSIMO SIGNOR DUCA DI MANTOVA Invia una canzone.

Io mi assicuro di scrivere a V. A. perché Ella, onorandomi dei suoi comandamenti, ha me assicurato della sua grazia. Non mi assicuro giá di corrispondere a quella aspettazione che V. A. ha per aventura concetta di me, perché troppo deboli son le forze del mio ingegno. E se ora ardisco di mandarle questa canzonetta che non ha parte alcuna in sé di sapere né di sapore, prego umilmente V. A. a degnarsi di scusare le sue imperfezioni, condonandole tutte all’ambizione che ho di servirla. E senza piú, il riverir V. A. con tutto l’animo e l’ inchinarlemi con tutto il core vaglia per fine di questa.

Di Ravenna, a di 18 di giugno 1607.