Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. I, 1911 – BEIC 1872860.djvu/69

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come imitate si veggono tuttavia l’ altre cose sue dalla maggior parte della gioventú d’Italia — non pure i sonetti, i quali dalla publicazione delle sue Rime in qua hanno accresciuto tanto di spirito e di vivezza quanto il mondo sa; ma eziandio molte altre specie di poesie, che a penna vanno in volta e che sono giá in punto per uscire alla luce, particolarmente gl’ /dili e gli Inni, quelli nella Sampogna e questi nella Polinnia da lui nuovamente nel nostro idioma introdotti e da alcuni vivaci intelletti prima imitati che stampati; — se bene i componimenti di si gran poeta, pieni di magnificenza chiara e di facilitá sostenuta, vestiti di numero maestevole e soave, ricchi di metafore scelte e pellegrine, ornati di fantasie leggiadre e capricciose ed abondevoli di certi lumi propriamente suoi, si possono per aventura meglio ammirare che imitare e dánno luogo piú alla desperazione che alla emulazione. Ma perché non paia che in commendazione d’un Panegirico io voglia comporne un altro, mi tacerò, rapportandomi di tutto ciò al parere di coloro che piú di me ne sanno. E senza piú, chiuderò il mio scrivere con pregare a V. A. dal cielo compiuta prosperitá.

Di Torino, il 1 di novembre 1608.

XLVUI

A Bernardo Castello

Invia il Panegirico del duca di Savoia.

Io pur aspetto e non odo novella. È mille anni ch’io non ho lettere di V. S. né avviso di sua salute. Mi promise il disegno, ma andò in fumo appunto come gli altri disegni della mia mente. In ogni modo le vivo servitore come le fui sempre. E perché vegga ch’ io serbo memoria di lei, le mando un mio poemetto nuovamente uscito fuori e composto piú per mostrar qualche segno di gratitudine a questo serenissimo prencipe che per far pompa d’ingegno. È indrizzato al Figino, perché è pittore di questa Altezza e perché ha lavorato in questa galeria.