Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. I, 1911 – BEIC 1872860.djvu/82

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resta, e danneggiare l’anima che mai non muore, si come non è delebile, cosí non è tolerabile.

Ammutinato il suddetto con altri miei nimici, ha mandato in volta un discorso intitolato Epilogo della vita del Marino , dove, oltre molte mentite che dice intorno alla mia qualitá, si sforza di dimostrare ch’io sia non solo uno scelerato ma un eretico, e che ciò si possa argomentare non solo dalle parole ma dalle operazioni, e non solo dalle operazioni ma dagli scritti, e dagli scritti non solo stampati ma da quelli che vanno a penna, e che questi contengono non solo delle oscenitá ma delle empietá.

Quale io mi sia nell’intrinseco della mia conscienza e quali si sieno i pensieri della mia mente, di ciò me ne rapporto all’ottimo e grandissimo Iddio, il cui solo sguardo sa spiare gl’intimi secreti de’ petti umani, ed al mio confessore ordinario, il cui ufficio è giudicarmi in tutto quel che si volge per l’animo mio. Se io bene o male operi o favelli, lascerò dirlo a coloro che con qualche dimestichezza usano meco; e ne potrá anche in buona parte testimoniare tutta la famiglia di quel signore a cui servo, dove nello spazio d’otto anni credo d’aver con le mie azioni apportato anzi essempio che scandolo. Ma in quanto a quel che allo scrivere appartiene, se si parla delle opere che giá in stampa si veggono, io non so qual laidezza o scurilitá rinchiudono in sé che abbia potuto suggerir materia a persecuzione cosí sciocca.

Non niego io che per accomodarmi all’ umore del secolo, per lusingare l’appetito del mondo e prender lo stile morbido, vezzoso ed attrattivo, non mi sia alquanto dilettato delle amorose tenerezze e che non si possa dalle mie cose raccogliere alcun cenno di metafora, la qual con misteriosa allegoria alluda a qualche lascivo sentimento, appena però penetrabile dagl’intelletti svegliati ed arguti. Niego bene ch’io abbia giammai in esse trattato di cose sozze, onde a ragione mi possa Platone discacciare dalla sua republica come pernicioso a’ costumi e corrompitore della gioventú. Se io per si debole querela debbo esser condannato, perché non si condanna tutta quanta la poesia, la quale cotali licenze porta seco? Quanti meno onesti e