Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. II, 1912 – BEIC 1873537.djvu/136

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sinora mostrare al mondo che le corone giá fatte arsicce si possono calpestare; e V. S. illustrissima sa con giudiziosi encomi inalzare consigli ed opre tanto singolari. Egli procura di fulminare la Spagna; e V. S. illustrissima nella sua idea 1’ ha giá fulminata. Quindi, se questa bella Italia si sentisse per sua ventura scarca giamai da si barbaro giogo, n’avrebbe grado non solo alla spada di Carlo ma ai discorsi ancora di Livia, che quanto potè, cooperò al riacquisto della Iibertade. V’ha solo tra loro due questa una differenza: che Carlo procura d’uccidere e d’esterminare gl’inimici; e voi, con le vostre bellezze, congionte col rigore dell’onestá, uccidete i devoti; e non solo gli uccidete presenti, ma spedite ancora per tutte le parti del mondo la fama de’ vostri nobilissimi pregi, che, fatta in un punto micidiale e beatrice, consola con l’annuncio del bello ed uccide con gli avisi del rigore. E ben poss’io, povero sconosciuto, farne indubitata fede, il quale avrò per un fiore delle mie felicitá terrene il potere sino all’ultimo spirito fra le varie tempre d’una morte si beata e d’una beatitudine si mortale passare i miei giorni. Rideranno ben fra poco (e cosi vivamente spero) i cavaglieri e le dame di Milano, poiché per opra di Carlo goderanno che quella parte d’Italia doppo tant’anni, dileguate le nubi spagnuole, abbia scoperto l’italico sereno, e che sotto riride favorevole del vostro ciglio sia sparita ornai quella tempesta che d’occidente si movea si torbida e si minacciosa. E canterá benanche la sirena partenopea, al partire di quegli oscuri abitatori che infestano le belle riviere di quel regno e che coi vanti loro turbano la sua melodia. Ma io non aspettarò giamai la Iibertade o la pace, poiché non spero che sorga per me pietade, la quale, vestitasi l’armi di Carlo, faccia stragge di quei tenebrosi pensieri che infestano i poveri abitaculi di quest’anima: andrò però godendo della mia sorte in pace.

E intanto, per chiudere in versi quel nobilissimo paralello che di sopra accenai, soggiungerò quanto V. S. illustrissima vedrá qui aggionto. E le faccio per fine una profondissima riverenza.

[Torino, verso il x6i6?].