Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. II, 1912 – BEIC 1873537.djvu/141

Da Wikisource.

legno santo non si purgassero. L’acqua del legno, signor Achillino mio, per parlar chiaro, mi tien in casa rinchiuso, né altro mi ha posto in questa si lunga e si penosa dieta che una fiera doglia di capo, della quale, s’io debbo dir il vero, dubbito che Minerva piú tosto che Venere m’abbia contaminato. Ma, se Venere è stata, certo non fu mai quella vulgare, quella publica e prostituta, percioché il mio o non è mal di contagio o, se è pur tale (che io noi credo), ha tardato poco men che tre lustri non che tre mesi a scoprirsi ; il che non suol far il mal di Sifilo, se al Fracastoro crediamo. E se pur il veleno di questo umore, si lungo tempo celato, si scopre ora e risorge, certamente da vii e torbido fonte non fu bevuto, ma da puro e nobilissimo, dal solo ma indegno suo signore indegnamente infettato.

Ma, lasciando le burle, se il vero e proprio nome di Venere (si come nelle socratiche carte lá nel Filebo leggiamo) altro non è che il piacere, questa certo fu del mio mal la cagione; percioché il diletto che, quantunque con poco mio frutto, ho io provato sempre grandissimo negli studi di quella dea, che, secondo i poeti, nacque della mente di Giove, ha cosi rotto a me il capo com’ella nascendo lo ruppe parimente a suo padre. Anzi né pur anche al presente, qui, dove né il vento né l’aria stessa possono penetrare, non posso però io a’ suoi assalti resistere: percioché, essendo pur egli anche in questi chiusi ripari arrivato, ai primi colpi m’ha vinto; e, riducendomi nella memoria l’obligo ch’io tengo di scrivere a V. S. e la promessa, che giá le feci, di quello in carta significarle, che in carrozza del signor Cardinal Pio, presente Sua Signoria illustrissima e monsignor Massimo vicelegato ed altri cavalieri miei signori e padroni, non potei esporle allor del mio senso intorno alla proposta e disputata materia degli traslati, vuol ora ch’io gliel’esprima nella presente. Il che farò in cosi ampio soggetto con quella maggior brevitá che msegnerammi non pur la coscienza del mio poco sapere, ma quella sobrietá con la qual ora mi convien vivere; rimanendo per cagione di essa non meno debole nell’opere sue lo ’ntelletto che stanco e fievole il corpo, a cui tanto