Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. II, 1912 – BEIC 1873537.djvu/202

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è giá noto che il valore del signor Busenelli è maggiore d’ogni lode e che le iperboli istesse, poste in bilancia con tanta virtú, scarseggiarebbono con molta evidenza della rettorica povertá. Se io voglio entrar nel discorso delle germaniche tragedie, il signor Loredani ha conseguita si nobilmente questa parte, e al tragico testo, anzi piú tosto al canto fermo di quei pianti, ha fatti si bei contrapunti di politica, che gli altri in si fatte materie se ne possono servir d’ idea. Onde, non avendo io che scrivere, pieno di buona volontá, le bacio affettuosissimamente le mani.

[verso il 1630?].

Il sonetto inviatomi da V. S. è cosa angelica, per non dire un angelo in versi: i due terzetti sono due cori di grazie, la chiusura è una prigionia di maraviglie. E cosi a grado troppo alto veggio salito il mio nome; ma l’altezza dell’edificio mi fa paura, perché sento che i diffetti del fondamento giurano la ruina a si fatta fabrica. Meditarci la risposta; ma queste lezzioni quaresimali me ne divertiscono troppo. Ho però tirato giú alla peggio la qui congiunta. E con mille grazie le bacio le mani.

CXXVIII

Di Agostino Mascardi

Intorno alla peste milanese del 1629.

Signor Claudio mio dolcissimo, ancorché il dolersi delle private sciagure nel diluvio delle publiche calamitá sia indizio d’animo contumace, io nondimeno fra le miserie universali d’ Italia piango la perdita di molti amici, e spero d’esserne compatito nonché scusato. È vero che lo spettacolo di questa desolata provincia può occupar ogni luogo di dolore in chi ha senso d’umanitá; perché, oltre a’ tumulti di guerra, a’ quali dá occasione l’ambizione e l’aviditá de’ mortali, in qual occhio lasciarebbe pur una lagrima il veder tante nobili cittá tormentate dalla