Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. II, 1912 – BEIC 1873537.djvu/241

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al nostro corpo: ché, se bene alle volte i medicamenti vegetali si fermano in noi; nondimeno, perché pure sono vegetali, egli è possibile senz’altro che nella natura sortiscano ragione di cibo; il che assolutamente non può dirsi de’ medicamenti chimici. E perché mi potresti dire che pare che io escluda dal nostro nutrimento il genere animale, ammettendo il solo genere vegetale, vi rispondo che cosi è apunto; perché tutti i cibi, che noi sogliamo trarre dal genere animale, non sono cibi in quanto animali ma in quanto vegetali, poiché non è animale che non vegeti e non può se non in quanto vegeta servire al nostro nudrimento. Che però torno a dire che tutte le cose imaginabili del genere minerale, qualunque volta resteranno dentro il nostro corpo, cagioneranno ruine incredibili; ma quelle che usciranno, o per secesso o per sudore o per urina o per vomito, si ponno ammettere nell’uso della medicina. E se questa difficultá, che stringe contra gli ori potabili e contra quelli elisiri, che non escono, ma sono ricevuti come confortativi, come ristorativi o temperanti per sé e non per accidente; se questa difficultá, dico, vi sará validamente soluta, voglio perdere la grazia vostra, alla quale mi raccomando.

[verso il 1640?].

CLXV1II

Al signor N. N.

che gli aveva scritto di trovarsi innamorato degli occhi della sua donna.

Io veramente compatisco all’anima di V. S. tormentata in ruota, ché ruota è la bellissima pupilla di quell’occhio si nobilmente celebrato da lei. E chi non sarebbe caduto in si fatti tormenti sotto i colpi di quella luminosa eloquenza, con la quale sugli adorati pulpiti di due brune pupille favella con tanta energia lo sguardo amoroso? Ben m’imaginoche il suo cuore in quei valorosi circoli disputasse vivamente le ragioni della propria libertá per conservarle intatte; ma purtroppo io m’aveggio che quegli argomenti di bellezza lo convinsero, e quegli entimemi