Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. II, 1912 – BEIC 1873537.djvu/242

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di luce non ebbero piú chiaro conseguente che la sua morte. Bisognava che ad occhi cosi vittoriosi la natura formasse, sto per dire, supercigli di lauro; ma, s’ella mancò, ben la musa di V. S. s’ingegna di coronargli del piú fino alloro che spunti nelle selve della sua propria eloquenza; e se i raggi loro piovono influssi di rose e di mirti negli orti dell’anima sua, essa con gratissima armonia canta a quei benefichi lumi inni di dolcissime glorie. Che però nel suo morire dovrá per ogni ragione consolarsi: perché, se in quei roghi ella incenerisce amante, indi tosto risorge fenice degli ingegni; e s’ella torna a morire, quella morte feconda di nuove glorie la fa pur risorgere a nuovi applausi di facondia amorosa, poiché non sará mai che dica che il Mercurio, di lei da nuovo fuoco d’amore tante volte sublimato, non divenga sempre piú fino e piú spiritale.

Ma io m’accorgo d’ ingannarmi mentre scrivo ch’Ella amorosamente muore, perché sotto i raggi di quegli occhi non si può morire. Poiché, se anch’eglino sono amanti, portano con esso loro nel petto di V. S., vestita di sguardi, quell’anima che gli aventò in lei: ond’Ella o vive di doppio spirito; o, se pure anch’essa trasanimò, vive senz’altro dello spirito amato. Ché questa è quella cara metempsicosi tanto celebrata da Platone.

Ma qui m’aveggio che io non m’ingannai, perché in quell’istante che s’incontrano gli sguardi, se portano con esso loro l ’anime amanti, bisogna pure in ogni maniera confessare che fra via quell ’anime s’abbraccino e si bacino e si confondano, ed in quel punto rimangano essanimati i petti amanti. E beato chi sapesse esprimere quella ineffabile mistura e confusione di spiriti, che si fa in quell’invisibile passaggio! Ché se ciò non fosse, torno a dire che non si può morire amando, perché o si cambia il principio vitale o si vive di doppia vita. Ché se gli occhi adorati non corrispondono, ma piú tosto sotto ’l manto dei guardi portano i fulmini nel petto di lei, quei fulmini uccidono ogni basso pensiero e quasi purificano lo spirito agli uffici d’una nobilissima via.

Oimè, signore, che vaneggiamento è il mio? Fra quattro giorni al capezale con la candela al petto, coi conforti spirituali